Nella nona edizione del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi, ISTAT fornisce alcune misurazioni degli effetti economici della pandemia.
Data la natura improvvisa e violenta della crisi, la necessità di misurare tali fenomeni ha richiesto uno sforzo ulteriore alla statistica ufficiale. Tra le diverse iniziative dell’Istat finalizzate a raccogliere le informazioni necessarie all’analisi degli effetti della crisi sanitaria sull’economia e sulla società, nei mesi di maggio e novembre 2020 sono state realizzate due indagini specifiche volte a comprendere come le imprese italiane abbiano vissuto una fase così drammatica, con particolare riferimento all’impatto economico, finanziario e occupazionale.
In particolare si è esaminato come la crisi abbia colpito le aree geografiche del Paese. La natura dei dati a disposizione e la peculiarità della prospettiva di analisi hanno richiesto di elaborare nuove classificazioni della capacità di tenuta dei sistemi produttivi locali, che hanno condotto a una mappatura dei rischi dei territori a livello di Regione.
Per valutare gli effetti della crisi sulle diverse aree del Paese occorre quindi adottare un approccio granulare. A questo proposito, l’utilizzo congiunto del registro Frame-Sbs territoriale e dei risultati delle due indagini sugli effetti della pandemia permette di individuare un indicatore del grado di “rischio combinato” (in termini di imprese e addetti) dei territori.
I risultati confermano come in Italia la crisi tenda ad accentuare il divario tra le aree geografiche: delle sei regioni il cui tessuto produttivo risulta ad alto rischio combinato, cinque appartengono al Mezzogiorno, (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro Italia (Umbria), mentre le sei regioni classificabili a rischio basso si trovano tutte nell’Italia settentrionale (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia.
Rapporto sulla competitività dei settori produttivi ISTAT
Rapporto-competitività_2021